
Enzo Pellegrin
Per chi ha coltivato la propria adolescenza umana e politica nelle pericolose fanghiglie del riflusso negli anni 80 e 90 Fidel Castro Ruz, Presidente del Consiglio di Stato di Cuba, comandante della Revolucion, ha rappresentato l’eterno nemico dei governanti statunitensi di ogni epoca. Passavano i Presidenti dell’impero: Kennedy, Johnson, Nixon, Carter, i Bush e i Clinton. Fidel Castro rimaneva sempre lì, immobile di fronte alla diffamazione, alle bugie, ai tentativi di rovesciamento e financo di omicidio.
Immobile come il popolo cubano, di fronte alle mille offese che il mondo occidentale recava loro.
Una fra tutte: l’assedio per provocare la fame.
Perché anche nelle melme del riflusso di finesecolo destava perplessità sentire i pennivendoli di regime sbraitare sulle condizioni in cui dicevano fosse ridotta Cuba e passare sotto silenzio che quei disagi certo non potevano non derivare un blocco economico duro quanto infame e criminale, condannato a più riprese da quasi tutti i paesi del Mondo nell’Assemblea ONU, tranne gli stessi USA, Israele e l’Isola di Guam.
Per coloro che erano costretti a crescere in quella bambagia ideologica, Fidel e Cuba rappresentavano prima di tutto un percorso di sfide.
Intanto sfidare il conformismo informativo: chiedersi perché a Norimberga hanno processato il nazismo per aver aggredito popoli mentre nei nostri anni emanare sanzioni per affamare un popolo non allineato non rappresentava un eguale crimine.
Poi sfidare quello che allora si chiamava il migliore dei mondi possibili: comprendere che un diverso modo di produrre e distribuire la ricchezza era altrettanto possibile. Ed era possibile senza piegarsi al criminale mondo della lotta di tutti contro tutti per la prevalenza economica. Cooperare a produrre quello che serve senza ammazzarsi per rimanere a vivere. Difficile pensarlo allora, quando le sirene delle vacche grasse addormentavano il presente rappresentandolo come un unico eterno futuro di felicità. Ma anche allora la sfida era chiedersi quanto avrebbe potuto andare avanti in crescita un mondo in cui l’azionabilità di ogni diritto individuale e collettivo diveniva subordinata alla condizione economica. La risposta non soffia nel vento ma è visibile oggi, nelle nostre malate e sempre più povere società europee.

Un’amico mi ricordava come anche chi non amava Cuba non poteva rimanere senza parole di fronte all’umanità degli ultimi che trovavano aiuto, soccorso e cure sanitarie nell’Isola.
La terza sfida era alle bugie su Cuba: i dissidenti falsi e profumatamente pagati come Yoani Sanchez, la bloguera mentirosa, così tanto repressa nel proprio paese da avere tradotto il proprio blog nel mondo in un maggior numero di lingue del sito ufficiale della Comunità Europea…, la propaganda odiosa e violenta di asseriti esuli e falsi esuli oggi proficuamente insediati nel ventre criminale degli Stati Uniti del Sud. Questa battaglia portava con se la scoperta di commentatori politici e giornalisti indipendenti e legati all’analisi dei fatti, più che alla diffusione della propaganda politica dei centri di potere e dell’establishment occidentale.
Tuttavia, contro la macchina del fango, Cuba aveva intelligentemente reagito. Qualche anno fa, la Seguridad de Estado infiltrò un proprio agente (nome in codice Emilio) tra le file di quelli che si asserivano “giornalisti indipendenti”. Prese il nome di Carlos Serpa Maceira e per molti anni si finse reporter in lotta contro l’oppressione cubana e si mise in contatto con gli ambienti della controrivoluzione cubana. «Un saluto agli ascoltatori di Radio República. Da La Habana vi parla Carlos Serpa Maceira, direttore dell’Unione dei Giornalisti Liberi di Cuba…». Questo era l’incipit dei suoi servizi che hanno avuto i maggiori reportage sui mezzi di informazione anticubana.
Senonchè Carlos-Emilio alla fine si palesa e racconta come venivano organizzate (e con che “scrupolosità giornalistica”) le piazzate informative contro l’Isola, non è difficile metterle in piedi, dice: “Proprio a me un giorno mi proposero la creazione di un blog, mi dissero anche che lo avrebbero chiamato El Guayacán cubano. A chiare lettere mi spiegarono che l’idea era quella di renderlo simile a quello della controrivoluzionaria Yoani Sánchez affinché guadagnassi denaro del quale poter vivere. Mi hanno spiegato che mediante il blog si sarebbero chieste donazioni ai visitatori enfatizzandomi “ti amministriamo il blog El Guayacán cubano, e tu chiedi ai visitatori denaro per poter vivere”. Colui che realmente mi amministra il blog è Enrique Blanco, un controrivoluzionario stabilitosi a Porto Rico, appartenente all’Operazione Liborio, un progetto che ha l’obbiettivo di finanziare dall’estero la cosiddetta opposizione. Lui ha inserito informazioni sul blog come se fossi io a farlo, praticamente se non posso partecipare ad una determinata attività, quasi sempre relazionata con le “damas de blanco”, lui si mette in comunicazione direttamente con loro e redige il reportage. Non è difficile [organizzare una campagna mediatica contro Cuba n.d.r.]. Nel mio caso devo solo mettermi in contatto con Radio Martí [ha sede a Miami ed è finanziata interamente dagli Usa] ed immediatamente mi ritelefonano. Io posso inventare in questo stesso istante una notizia e loro senza cercare conferme né alcuna verifica la trasmettono. Poco tempo fa ho fabbricato una situazione relazionata con il processo ad una controrivoluzionaria. Dissi che uscendo da casa mia e passando per la sede del Tribunale Provinciale Popolare della Città de La Habana avevo visto un gran dispiegamento di agenti della Seguridad del Estado e che lì avevo potuto osservare pure la presenza, anche se loro non mi avevano visto, della stampa straniera… Questo l’ho condito con qualche altro elemento, tipo che gli agenti della Seguridad mi avevano riconosciuto e mi avevano fatto entrare in un’auto, e che sotto forti minacce mi avevano portato ad vicina stazione di polizia. Quando poi ho telefonato a Radio Martí la persona che mi ha risposto al telefono mi disse: “Quando dici che ti hanno minacciato devi spiegare che minacce ti hanno fatto”. Gli risposi di si, che non si sarebbe dovuta preoccupare e così confezionai la mia notizia. Radio Martí non cerca nessuna conferma. L’obiettivo è denigrare Cuba per qualunque motivo. Dopo avere trasmesso quel reportage mi dissero che sarebbe stato inserito anche nei notiziari.” (http://www.resistenze.org/sito/te/po/cu/pocubc08-008507.htm ).
Oggi, quando la vulgata occidentale, qualche scribacchino col vizio del plagio o qualche populista agitano o vantano i loro strali su Fidel Castro, inevitabilmente incorrono in qualche balla messa in giro da questa instancabile macchina del fango.
Tanto il popolo cubano si sacrificava per la costruzione di un’economia collettiva e per i propri servizi sociali, dieci volte tanto gli USA sperperavano per foraggiare pennivendoli, infingardi, cospiratori sgherri o faccendieri per far naufragare il risultato di questi sacrifici.
Fidel Castro Ruz, alla morte di Hugo Chavez, scrisse a Nicolas Maduro ricordando come aveva conosciuto il Presidente Venezuelano: “Ho conosciuto Hugo Chávez esattamente 18 anni fa. Qualcuno lo aveva invitato a Cuba e lui aveva accettato l’invito; mi racconto che pensava di sollecitare un incontro con me. Ero lontano dall’immaginare che quei militari definiti golpisti dalle agenzie di stampa, che con tanta discrezione per anni avevano seminato i loro ideali, erano un gruppo selezionato di rivoluzionari bolivariani.” (http://www.resistenze.org/sito/te/po/cu/pocucn17-012060.htm ).
Egli per primo aveva accolto un uomo che l’occidente definiva golpista. Si era, a suo modo, fatto guidare dai fatti e dall’amore per la verità, non dall’invenzione dei fatti. Ciò anche se li separavano precise differenze ideologiche.
La battaglia che Fidel ed il Popolo di Cuba hanno combattuto per anni era anche la battaglia per la verità.
Spesso i popoli occidentali si mostrano più intelligenti ed autonomi di come li vorrebbero i media dell’establishment.
Chiunque sarà capace di continuare a farlo avrà, come nelle parole di Fidel, il suo nome rispettato ed amato nel mondo più sincero.
Gli altri potranno essere invitati alle feste a Miami. Il denaro – per queste – non è mai mancato negli USA. Manca per altro: come la sanità e l’istruzione. Ma per queste ultime, centinaia di americani fanno e faranno i viaggi della speranza nell’isola – come la chiamano loro – “castrista”. Esattamente come gli ultimi della Terra.

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