Impressioni di settembre

di Enzo Pellegrin

Nel paese della bugia,

la verità è una malattia.

Non ha vaccino, non ha cura

e neanche a metri si misura;

la verità è presagio solo di buona sorte

e ai bugiardi non rimane

che tenersi il naso lungo o le gambe corte.”

(Gianni Rodari)

Ho vissuto in un paese che, pur avendo un intero lago sul suo territorio, pativa di forniture d’acqua e praticava d’estate un pesante razionamento per insufficienza delle sue strutture.

Questo andazzo è continuato avanti fino a che mi sono trasferito a Torino per l’Università. L’acqua c’era dalle 6 alle 8 del mattino, dalle 11:30 alle 14, dalle 18 alle 21:30. Dopo nisba. Era vietato utilizzare l’acqua per bagnare l’orto o lavare l’auto. Era assolutamente vietato l’utilizzo di qualsiasi gomma o manichetta, a pena di sonore multe, se venivi sorpreso dal messo comunale. Di implementare le strutture, la Repubblica ed il Comune, per anni se ne stracatafotterono, sebbene venissero spesi un sacco di soldi per rifare nuova la Caserma dei Carabinieri. Importava allora profittare sul cemento piuttosto che in tubi od acquedotti.

Alla viglia di un nuovo razionamento, il motivo retrostante è sempre lo stesso. Non la Natura, ma i sporchi interessi di profitto. Razioneremo il Gas perchè gli Usa devono fare la guerra alla Cina, facendo la guerra alla Russia, per mezzo dell’Ucraina. Nel nostro paese di scuole ed ospedali disastrati ed insufficienti, non sono mancate vagonate di soldi per comprare le armi all’Ucraina, pagare gli insegnanti di Zelensky (che spero non in cuor loro non si facciano convincere a insegnare odio) e i medici che rimettessero in piedi i suoi soldati feriti al fronte, solo perchè potessero tornare al più presto a combattere. 

Sono transitati fiumi di denaro per pagare alla macchina da guerra ucraina ogni cosa abbia chiesto, mentre i nostri paesi colpiti dal terremoto non hanno ancora visto la soddisfazione della ricostruzione.

Al razionamento dell’energia seguiranno crisi economica, crisi produttiva, disoccupazione, e già il carovita erode non solo i risparmi, ma la capacità di arrivare a fine mese. Se un cambiamento arriverà in questo paese, certo non arriverà con le elezioni, visto che i titolati ai seggi dai sondaggi sono tutti in sostanza contrari a fare la pace.

L’astensione pare una volta di più rilevante, anche se i sondaggi dicono poco. Il paese è sfiduciato, l’opinione pubblica è in mano a media bugiardi e prezzolati, ed ogni opinione contraria viene dipinta come la farina del diavolo. Il nostro è diventato un paese della bugia, in cui dire la verità è diventato malattia, con buona pace dei compagni come Gianni Rodari, che, del nostro paese, videro una fiammella di rinascita, dopo la dittatura, e per questo sperarono nell’eguaglianza che il progresso poteva portare.

Così non è stato: quando ogni conquista di progresso è legata a coloro che maneggiano capitali e sfruttano lavoro, prima o poi essi provocheranno o la crisi, o la povertà, o la guerra. Se un cambiamento potrà mai esserci, questo potrà avvenire con la distruzione e lo scioglimento di questa enorme fabbrica di bugie. E non sto parlando solo dei bugiardi in malafede, quelli che Edoardo Bennato diceva sempre a caccia delle streghe, ma anche di quelli in buonafede, i quali credono scioccamente di propalare una verità. In questo perenne stato di malattia, incapacità, inerzia, rassegnazione, questi ultimi hanno perso l’allenamento dello spirito critico e dell’agire collettivo.

Scriveva Pietro Nenni nel 1943, tornando in nave dal confino di Ponza, dopo la caduta di Mussolini: “Arriviamo a Terracina dopo ore di navigazione. Bandiere a tutte le finestre, striscioni acclamanti all’esercito, scritte di «Viva Badoglio». È il volto dell’Italia festereccia; l’Italia che non amo, quella che ha un applauso per ogni vincitore. L’educazione data dal socialismo alle masse tendeva a disciplinare la «mobili fantasie del popolo mezzano» di cui già si stizziva Carducci; la diseducazione fascista ci ha ricondotti allo spagnolismo settecentesco. Anche qui è tutto da rifare”.

Una nuova cultura non nasce però dal niente, o dall’indignazione di pochi o molti: c’è un convitato di pietra di cui nessuno si accorge mai. Produrre ricchezza per profitto individuale è un modo di vivere, ma anche un modo per morire piano piano, ogni giorno. Produrre ricchezza per profitto individuale genera diseguaglianza. La diseguaglianza non provoca solamente la povertà, ma soprattutto la sottomissione e l’inaridimento dello spirito critico. Come ricordava Sandro Pertini, un uomo povero può essere libero, ma la sua libertà si limita a poter imprecare. Io aggiungo: imprecare od applaudire il vincitore di turno. 

L’aspetto più inquietante dell’egemonia culturale della nostra epoca riguarda la capacità di far accettare soprusi sempre maggiori. Viene diffusa una nuova parola di moda: resilienza. Resilienza è saper accettare e superare una situazione negativa facendo appello alle proprie forze. Ancora l’individuo! E’ così che un vocabolo forbito nel allontana un’altro più usuale ma pericoloso: resistenza. Resistenza è opporsi alle situazioni negative comprendendone la causa, combattendole per eliminarle, con mezzi efficaci. 

La resistenza implica però lo sforzo di analisi critica e l’agire collettivo: un uomo solo può sopportare, difficilemente può efficacemente resistere. Ma tanti esseri umani possono resistere anzichè piegarsi. Resilienza è la virtù del buon suddito, è il rifiuto a comprendere, è la fiducia in chi dirige, Resistenza è il fiero agire di un collettivo consapevole.

La resilienza consente all’individuo di superare ed accettare un evento negativo. La resistenza mira ad eliminare le cause dell’evento negativo.

Sono rimasto molto colpito da una scultura-installazione contemporanea qui sotto raffigurata: si chiama “Can’t help myself” degli artisti cinesi Sun Yuan & Peng Yu. E’ stata esposta nel 2016 al Guggenheim di New York, nel 2019 alla Biennale di Venezia, ma molto popolare su You Tube. Qui è possibile vederne la dinamica proprio durante l’installazione della Biennale. Essa raffigura un robot in movimento apparentemente perpetuo. La sua azione consiste nel raccogliere un liquido rosso ed aspirarlo. Gli osservatori comprendono dalla spiegazione degli autori che quel composto volutamente rossastro altro non è che il liquido idraulico che scorre nei tubi del Robot e nel consente il movimento e l’azione, il suo sangue. Se il robot riesce a raccogliere tanto liquido quanto ne perde, esso potrà continuare a muoversi, se ne perde troppo, andrà incontro all’immobilità, alla morte. Il robot non può però da solo riuscire fisicamente a raccogliere tutto il liquido. Per questo esso finirà per consumare le ultime gocce, fermandosi.

Questa sorta di mito di Sisifo rappresenta bene molte caratteristiche della dimensione umana contemporanea, tra cui  l’assenza di spirito critico, lo sforzo esclusivamente individuale e il suo destino.

La Resistenza con la R maiuscola è dunque cosa seria: non bastano indignazione, slogan, contraddizioni materiali dolorose, furba acquisizione del consenso. Occorre che una buona moltitudine di persone prenda coscienza e conoscenza, si prepari e si organizzi per dare battaglia con la tattica e la strategia adeguata. Un’impresa che appare impossibile oggi, ma che qualche volta è riuscito nella Storia, combinando sforzo collettivo, conoscenza, buona organizzazione e capacità, anche militare, di combattere.

Praticare resilienza è sempre stato invece evento comune: come la storia ancora ricorda, l’uomo ha accettato su di se anche la schiavitù e la morte, rassegnandosi o non accorgendosene. Dovremmo dunque aspirare all’eccezionalità, ma l’eccezionalità non nasce né dall’isolamento né dalla perfezione individuale. La storia siamo noi cantava Francesco De Gregori, ma pochi intendono il completo significato di questa frase.

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