Dante Di Nanni e la resistenza operaia

Enzo Pellegrin

Intervento al convegno tenuto a Torino, il 16 maggio 2015, presso il Centro Congressi della Circoscrizione 3, via Millio 30, organizzato dal Partito Comunista di Torino, con la partecipazione del Fronte della Gioventù Comunista, dell’ANPI Provinciale, CSOA Gabrio, Scudo Legale Popolare del Fronte Unitario dei Lavoratori.

16/05/2015

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Il 17 maggio 1944, insieme ai compagni Pesce, Bravin e Valentino, Dante di Nanni portò l’attacco ad una stazione radio sul fiume Stura che disturbava le comunicazioni di Radio Londra, importante presidio logistico della Resistenza perchè garantiva messaggi, comunicazioni e notizie alle forze partigiane insurrezionali. Nell’attacco risparmiarono la vita dei nove militi comandati a presidiarla in cambio della loro promessa di non dare l’allarme. I componenti di quel Gruppo di Azione Patriottica furono tuttavia traditi e giunsero allo scontro con una pattuglia nemica: riportarono tutti ferite, Bravin e Valentino verranno arrestati ed in seguito impiccati, il 22 luglio a Torino insieme al compagno di lotta Vian. Pesce riuscì a condurre in salvo Di Nanni, colpito in modo grave da sette proiettili al ventre, alla testa e alle gambe. Lo trasportò prima in una cascina e poi nella base di Via San Bernardino 14, nel quartiere san paolo di Torino. Un sanitario antifascista constato le gravi condizioni e consigliò l’immediato ricovero in ospedale e la necessità di intervenire. Pesce si allontana per organizzare il trasporto, ma, al suo ritorno trova la casa di via San Bernardino circondata dai fascisti e dai tedeschi, avvertiti da una spia. Qui, nonostante le ferite subite, Dante Di Nanni asserragliato nella base ingaggiò un lungo scontro a fuoco con i nazifascisti che erano supportati anche da un’autoblindo e da un carro armato. Elimina con la precisione dei suoi tiri ed il suo coraggio numerosi nemici, dal balcone lancia cariche di tritolo e mette fuori uso l’autoblindo ed il carro armato. Dopo quasi quattro ore, terminate le munizioni, pur di non cadere vivo tra le mani dei vili oppressori, Dante “il Piccolo”, stremato dalle ferite si trascina verso la ringhiera del balcone e si lancia a braccia aperte nel vuoto, al grido “viva il Partito Comunista”.

Dante di Nanni fu prima di tutto operaio: la sua appartenenza di classe fu matrice fondamentale della sintesi della sua vita e delle sue gesta, tanto che può azzardarsi che “Il Piccolo” non sarebbe mai giunto ad essere partigiano e comunista se non fosse vissuto prima come operaio.

Dice bene Gianni Alasia quando ricorda che “Di Nanni fu figlio di quella generazione formata negli scioperi antifascisti. Quegli scioperi furono il frutto di una grande intelligenza che seppe collegare la rivendicazione immediata alla rivendicazione generale: far cadere il governo fascista.”(1)

Come fu possibile?
Essi furono certo prima di tutto scioperi con rivendicazioni.
Prima per il salario, poi per il cibo, poi l’indennità di sfollamento.

Ma la maturazione collettiva nella lotta seppe capire che lo sciopero non poteva, non voleva, non doveva colla forza della sua pressione pretendere ed ottenere un “miglioramento” del sistema esistente.
Si divenne consci del fatto che lo sciopero doveva contribuire a togliere di mezzo il sistema esistente. Fu chiaro l’aut aut: o il fascismo cade o la barbarie non avrà fine.
Fu compreso che il fascismo era lo strumento politico perchè la classe padronale potesse continuare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, garantita dalla violenza e dall’autorità delle leggi fasciste.

Tutto sommato il fascismo nacque proprio per reprimere le rivendicazioni operaie.

Tra il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane, contro il taglio degli stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo importante anche il sogno di fare come in Russia. Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico.

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La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto “Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti”, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei “Consigli di fabbrica” quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai.

Torino si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet.

Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre.

Gli scioperanti, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentarono per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 scioperanti lavoravano, producendo per se stessi.

Agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all’occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la violenza.

Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti.

In fabbrica si conobbe quindi lo sfruttamento, avendo di fronte, sempre usando le parole di Gianni Alasia, “i padroni fascisti e i fascisti padroni” (2).

Nato da genitori operai, il Di Nanni operaio non può non aver nuotato in questo fiume ed in queste acque, che videro – a conclusione di quel biennio rosso in cui la borghesia industriale temette la rivoluzione d’ottobre – la successiva scelta della violenza e dell’autoritarismo che mise in piedi il regime mussoliniano.

Per la borghesia Mussolini fu prima di tutto il salvatore dei rapporti di sfruttamento che essa imponeva alla classe operaia. Per salvare questo, furono ben disposti a rinunciare ad alcune loro libertà, perchè quelle libertà, parzialmente godute od aspirate dai loro avversari sociali, impedivano la continuazione del loro dominio economico.

Il primo Governo Mussolini fu sostenuto anche da liberali e popolari. Poi vennero le leggi fascistissime che esclusero dal gioco quei liberali e quei popolari. Ma questo non avrebbe potuto continuare se i principali detentori del potere economico non avessero benedetto quel fascismo come il “normalizzatore” dei rapporti colla classe degli sfruttati.

Quei pochi uomini che non si fecero abbindolare dal falso populismo normalizzatore del fascismo formarono nelle generazioni successive la salda consapevolezza che il fascismo continuava la sua opera di normalizzazione autoritaria facendosi da un lato garante violento dello sfruttamento, e dall’altro raccontando bugie agli strati popolari, dicendo loro di aver falsamente imposto condizioni più favorevoli e di aver portato l’Italia a traguardi di progresso, sempre solo immaginari e costruiti con la propaganda.

In più tratti di questo periodo sembra di vedere fotografie dell’odierno: fondamentale è per la borghesia trovare sempre un mezzo atto ad impedire che le rivendicazioni operaie giungano a costruire il potere diretto degli operai sui mezzi di produzione.

A questo scopo, allora, come ora, servono garanti del potere borghese nell’autorità, ma anche in finte od adeguate opposizioni. Serve un’opposizione che nasconda dietro miglioramenti i rapporti di sfruttamento insieme al segreto che con l’assalto al loro cielo lo sfruttamento non ci sarà più.

Gli stessi fascisti si presentarono originariamente con un programma quasi socialista o di democrazia diretta, basti ricordare il testo del manifesto di San Sepolcro.

Dov’era l’inghippo? Stava nel fatto che già nel 1920 essi girarono per le campagne e le città a reprimere gli scioperi che volevano analoghe rivendicazioni.
Specchio per allodole.
Strumento dei padroni per allontanare il vero sviluppo del potere operaio

Sembra di vedere, nelle dovute proporzioni, i programmi di certe odierne opposizioni del re. Tutto fuorchè il vero socialismo. Tutto per conservare i rapporti capitalistici nascondendoli dietro un volto asseritamente umano ma sostanzialmente oppressivo.

La tragedia della guerra contribuì a sfaldare le ultime illusioni delle teste deboli.

Di Nanni operaio non solo invece ha incarnato la profondità e l’efficacia di quella che noi chiamiamo coscienza di classe, la quale aiuta a individuare il vero nemico, ma ha rappresentato anche l’operaio che sceglie conseguentemente i suoi strumenti di lotta, consoni ed adeguati all’obiettivo che si intende raggiungere.

Usiamo le parole di un suo compagno di lotta : “smantellare e distruggere tutto il sistema sociale che aveva generato e perpetrato questa oppressione” (4)

Nel marzo 1943 le agitazioni fanno comprendere quanta forza possano avere in quel momento le mobilitazioni di massa che incidano sui fattori essenziali della produzione. In quel momento è la produzione di guerra.

Noi sappiamo, dalle parole di Pietro Secchia, come la Resistenza abbia avuto un carattere marcato di classe (lotta nazionale e sociale al tempo stesso) perché la classe operaia ne fu la forza dirigente principale.

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I lavoratori pagarono duramente la loro partecipazione attiva alla guerra di liberazione, con agitazioni, scioperi, sabotaggi.

Il Prezzo pagato da Torino fu questo: 11 patrioti impiccati, 271 fucilati, 12.000 arrestati, 6.000 deportati politici e razziali (con solo 400 superstiti), 20.000 deportati civili e militari nei campi di lavoro, 132 morti in combattimento e 611 feriti. (5)

Altre classi e partiti agivano contro la Resistenza (da dentro) con obiettivi diversi e contrastanti, mirandio a una restaurazione del capitalismo e di una democrazia conservatrice.

I gruppi dirigenti dei monopoli, i grandi industriali si dimostrarono per lo più vili profittatori, interessati a che gli operai non scioperassero e lavorassero do più per aumentare la produzione. Emblematico il caso Fiat che aveva appoggiato per tutto il ventennio il fascismo, ad esso intimamente legato, oltre che animatrice e profittatrice della sua politica.

Nel corso di tutte le guerre di aggressione i suoi profitti fecero balzi in avanti. Per questo promosse, sotto la direzione di Valletta, la partecipazione dell’Italia alla 2GM a fianco della Germania.

Tra il 1940 e il 1943 la Fiat produsse l’80 % dei mezzi militari costruiti in Italia. Raddoppia la capacità produttiva di aerei e motori per aerei rispetto al 1939.

Dal 1924 al 1944, la Fiat aumenta il suo capitale nominale da 400 milioni a 4 miliardi e il numero dei dipendenti da 57 mila (1939) a 76 mila (1942). Il primo sciopero dopo lunghi anni di dittatura fascista fu l’11 gennaio 1943 alla Ferriere Fiat, causa mancata consegna tessere supplemento razione di pane (fino alla conclusione con lo sciopero pre-insurrezionale e l’occupazione delle fabbriche tra 24 e 26 aprile 1945 e la vittoria della Resistenza). (6)

La cronologia degli scioperi fa comprendere come sia stata necessaria, accanto alle mobilitazioni operaie, il loro sostegno anche attraverso azioni militari. Sono le azioni dei Gappisti e delle S.A.P. che individuano obiettivi in grado di neutralizzare le persone della catena di comando, neutralizzare obiettivi logistici. (7).

Dante di Nanni, prima operaio alle officine Savigliano che produceva carpenteria metallica per us navale bellico, poi alla Microtecnica, impegnata anch’essa in produzioni belliche, capisce benissimo quale valore può avere la mobilitazione operaia per il contrasto dell’economia di guerra; capisce che una mobilitazione di tal genere non può sopravvivere da sola ma necessità di azioni militari che affianchino e potenzino gli scioperi, attaccando appunto i nodi logistici e le persone che organizzano la repressione violenta degli scioperi.

Il Piccolo vuole andare ed agire lì.

I GAP o “Gruppi di azione Patriottica” erano formati con il metodo dell’impermeabilizzazione e della dissimulazone. Solo i componenti di una stessa squadra dovevano essere a contatto fra loro, se possibile avevano vita normale dietro alla quale conducevano nascostamente la guerriglia, perchè li metteva in grado di acquisire maggiori informazini ed essere più efficaci. Incalzavano il nemico “senza tregua” con azioni di sabotaggio ed eliminazioni di nazifascisti e fascisti delatori, torturatori della catena di comando nella macchina bellica nemica. (8)

Le azioni di sabotaggio si coordinavano spesso con la forza degli scioperi, amplificandone il ruolo di incisione sulla macchina sociale e produttiva che realizzava l’economia di guerra e di oppressione.

In città vi erano poche decine di gappisti, ma le azioni venivano coordinate in modo tale da far intendere al nemico che era attaccato da diversi e numerosi gruppi partigiani di guerriglia. Proprio per questo il federale fascista Solaro telegrafò nel 1944 l’assoluta necessità di rinforzi, perchè riteneva la città assediata da oltre 5000 gappisti!.

Questo rapporto tra obiettivi da raggiungere e mezzi da impiegare ci conduce a riflessioni importanti nel mondo di oggi. Spesso l’azione degli scioperi è spezzettata ed indebolita dalla divisione interna e soprattutto dall’azione politica volta a circoscrivere la mobilitazione alle sole rivendicazioni, facendo quasi un vanto della “distanza” dai problemi politici o – come vengono sminuiti da molti – “ideologici”. Il recupero di questa dimensione degli scioperi fu invece la carta vincente delle mobilitazioni del 1943 e 1944.

Nella situazione di oppressione attuale, certo non paragonabile al baratro bellico in cui il fascismo aveva fatto precipitare la società tutta, fatti i dovuti rapporti, il blocco politico di potere sta affannandosi (o meglio si è affannato) a stracciare ogni scampolo di democrazia sociale per realizzare il diktat dei monopoli finanziari ed industriali di UE e NATO, per eliminare o normalizzare qualsiasi argine all’opposizione sociale ai loro interessi.

Con l’intelligenza e il rigore d’analisi e di strategia che ispirò i padri della resistenza, occorrerebbe ricondurre e “ispirare” le mobilitazioni al doppio registro che spesso fu vincente: da un lato incidere sulla sfera di produzione e sui rapporti di produzione, le quali sono le vere leve di oppressione. Come ben notano i Clashcityworkers nell’opera “Dove sono i nostri”, non è tanto importante la grandezza della piazza che si mobilità, nè la violenza dello scontro, ma l’incidenza sulla sfera di prduzione della ricchezza. Dall’altro ricondurre la lotta all’interno di un più ambizioso obiettivo di libertà, che metta in luce quanto oppressivi siano oggi i diktat del potere e quanto compromettano il futuro di un’enorme massa di persone: anche coloro che si ritengono oggi assolti sono e saranno coinvolti.

Questi fattori hanno sempre dato a chi si mobilita un contropotere veramente efficace, in grado di far arretrare il padrone, anche quando la mobilitazione è partita e si attua anche da parte di soggetti con obiettivi diversi, piattaforme diverse.

In questi giorni, la riuscita dello sciopero della scuola ha da un lato inciso sulla “sfera di funzionamento” di essa, bloccando gli scrutini e la somministrazione delle prove INVALSI. Dall’altro lato è riuscito a comunicare quanto la riforma aziendale renziana, ispirata ai presidi di Mussolini, comprometteva il futuro dei giovani rendendoli uomini da sfruttare e mettendo la loro istruzione nelle mani del mercato.

Proprio per tale motivo, il potere si è tosto preoccupato di attaccare un contenuto così ideologico. E se ne è preoccupato a dovere, tanto da far scendere in campo l’imbonitore a reti unificate e munito di lavagnetta e gessetti colorati.

Porta invece acqua al potere chi cerca di sottrarre il contenuto ideologico delle mobilitazioni per tornare alle banali rivendicazioni concrete, di fatto dividendo il contropotere di azione.

Tornando alle azioni gappiste, pare adeguato concludere ricordando il ruolo importantissimo che ebbero nella strategia resistenziale. Lo documenta il testo di un volantino garibaldino diffuso pochi giorni dopo la vittoriosa liberazione del 25 aprile:

“I vostri Compagni che, da ben 19 mesi combattono nelle formazioni Partigiane, formazioni che hanno organizzate e create, infondendo in esse il loro spirito di disciplina e di sacrificio, questi Compagni salutano in voi i combattenti della città, i combattenti che con l’azione delle G.A.P. e delle S.A.P. ,coi continui scioperi hanno fatto sì che la nostra azione bellica fosse sempre più decisiva e più potente. / COMPAGNI!! / I barbari teuti sono cacciati dalle nostre terre; la schifosa tirannide fascista è schiacciata per sempre, i nostri sforzi hanno avuto la loro meritata ricompensa. Purtroppo la nostra gioia immensa per la raggiunta vittoria è velata dal ricordo dei nostri eroici caduti : / LANFRANCO , GIAMBONE , GARDONCINI,CASANA , CAPRIOLO , SFORZINI , DI NANNI , CARANDO ,e tanti altri caduti per la Santa Causa della Libertà, il nostro pensiero è a Voi rivolto ,a Voi che ci siete stati di sprono [sic] e di esempio / a Voi che foste gli artefici primi della nostra Vittoria. / COMPAGNI CADUTI ! / Il vostro sacrificio non è stato vano, e noi eredi del Vostro pensiero, giuriamo davanti ai vostri figli di essere i fedeli continuatori della Vostra opera, per far sì che essi non abbiano mai più a riprendere le armi per difendere la suprema Causa della Libertà . / VIVA L’ITALIA [sic] LIBERA E DEMOCRATICA!!!!!! / Un gruppo di Comunisti volontari / nella Divisione “LEO LANFRANCO” (7)

Ripensando al monumento di intelligenza ed efficacia che fu la loro lotta e pensando a quegli insulti che si sentono oggigiorno vociare sulla resistenza, per cui i morti “sarebbero tutti uguali”, vien da rispondere con le parole di Vittorio Foa: “certo che i morti sono tutti uguali, da morti, E’ DA VIVI CHE SON STATI DIVERSI!”

Note

  1. G. ALASIA, Dante Di Nanni, 1944-2004, Note alla II edizione, opuscolo del gruppo consiliare regionale del PRC, 2004)
  2. G. ALASIA, Op. cit.
    “Il manifesto dei fasci di combattimento (1919) – Programma di San Sepolcro. La giovane vita di Dante di Nanni, narrata da un suo compagno di lotta, dall’opuscolo clandestino edito a Torino il 4 giugno 1944.
  3. P. SECCHIA, Fiat nella resistenza.
  4. P. SECCHIA, op. cit.
  5. Scioperi del marzo 1943- L’8 marzo del 1943 scioperarono a Torino sette stabilimenti. Si trattava del reparto tubi delle Ferriere Piemontesi, della Fiat Ricambi, della Tubi Metallici, dei reparti meccanico, serbatoi, verniciatura e montaggio della Fiat Aeronautica ,della Zenith, della Guinzio e Rossi e della Fispa. Tra il 9 e il 10 marzo entrarono in sciopero i seguenti stabilimenti: Società Nazionale delle Officine Savigliano, Pimet, Ambra, Conceria Fiorio, Fast Rivoli e reparto laminatoi delle Ferriere Piemontesi, Frig, Cir (Concerie Italiane Riunite), Borgognan e Capamianto. L’11 marzo in tutta la città si fermarono complessivamente dieci stabilimenti, nove di questi per la prima volta: la Michelin, la Lancia, gli stabilimenti Fiat del Lingotto e di Mirafiori, l’Elettronica Mellini, lo stabilimento Riv di Torino, la Fantero, la Savigliano e i due stabilimenti Schiapparelli e Setti. Il 12 marzo si fermarono la Fiat Mirafiori, la Riv, la Fornare, la Sigla, il lanificio Bona e la Fiat Lingotto. Il 13 continuavano ad astenersi dal lavoro le maestranze della Fiat Mirafiori della Fiat Lingotto, della Riv, insieme ai lavoratori della Fiat Materfer, della Aeronautica d’Italia e dello stabilimento Magnoni e Tedeschi.Tra il 15 e il 16 oltre si fermarono la Fiat Lingotto e la Fiat Mirafiori , il Cotonificio Valle Susa, il Gruppo Finanziario Tessile, lo stabilimento Ambra, la fonderia Borselli-Piacentini, lo stabilimento lavorazioni industriali statali Sables, la Fergat, la Manifattura Paracchi ed il biscottificio Wamar, seguiti, il giorno dopo dallo stabilimento torinese della Snia Viscosa. Sciopero del 1° dicembre 1943. Il 1° dicembre 1943 si fermarono le maestranze la Fiat Aeronautica, la Grandi Motori, le Ferriere, le Acciaierie e le Fonderie ghisa, la Spa e la Fiat Materiale Ferroviario. Sciopero generale del 1° marzo 1944. Il 1° marzo del 1944,data dello sciopero generale, gli stabilimenti torinesi chiusi dalla “messa in ferie” erano i seguenti: Michelin, Tedeschi, Westinghouse, Savigliano, Snia Viscosa di Venaria, Cir, Bertone, Schiapparelli, Martiny.
    La manovra della “messa in ferie” non coinvolgeva però tutti gli impianti cittadini: Mirafiori, Lingotto, Fiat Materiale Ferroviario, Grandi Motori, Viberti, Lancia, Elli Zerboni, Aeritalia, Riv, Emanuel, Zenith, Ceat, Cimat, Rasetti , Venchi Unica, Borgognan, restarono aperti, ma le maestranze interruppero il lavoro.
    Anche la Fiat Acciaierie, la Dubosch, la Microtecnica, la Fiat Ricambi, la Fiat Spa e la Capamianto erano in funzione il 1° marzo, ma qui la pressione delle autorità rese difficoltoso lo svolgimento dello sciopero. Il 2 marzo 1944, nonostante l’ordine di Zerbino di riprendere il lavoro, scioperarono gli operai dei seguenti stabilimenti: Zenith, Viberti, Ceat, Rasetti, Mirafiori, Lingotto, Riv, Fiat Ricambi, Microtecnica, Grandi Motori, Fiat Materiale Ferroviario, Emanuel, Viberti, Fiat ferriere, Fiat Acciaierie, Snia Viscosa, Cotonificio Val Susa, Venchi Unica. Tra il 3 e il 6 di marzo il lavoro fu sospeso a Mirafiori, a Lingotto, alla Fiat Spa, alla Fiat Materiale Ferroviario, alla Fiat Fonderie, alla Fiat Grandi Motori, all’Aeritalia, alla Venchi Unica, alla Borgognan, alla Snia Viscosa, alla Elli Zerboni, al Cotonificio Val Susa, alla Zenith, alla Dubosch, alla Viberti, alla Riv, e alla Fiat Ferriere. Sciopero del 15 giugno 1944. Dopo Mirafiori le prime fabbriche a fermare i macchinari furono quelle dell’intero gruppo Fiat (Lingotto, 4.000 operai, Ferriere, 6.000, Fonderie ghisa, 1.800, Acciaierie, Fiat Materiale Ferroviario, Grandi Motori, 3.100), seguite nei giorni successivi dagli operai della Riv, della Rasetti, della Cimat, della Elli Zerboni, della Lancia, dell’Aeritalia, della Incet, della Ceat, dell’Arsenale Militare di borgo Dora, della Dubosch, della Viberti, della Zenith, alla Bertone, alla Manifattura Tabacchi. I dati relativi alle aziende entrate in sciopero sono reperibili in R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, Einaudi, Torino, 1958, p.226/229. Sciopero del 21 novembre 1944- Il 21 novembre 1944 entravano in sciopero le maestranze della Fiat Lingotto e Mirafiori, seguitenei giorni successivi (28 e 29 novembre) da quelle degli altri stabilimenti cittadini: Fiat materiale Ferroviario, Fiat Spa, Fiat Ferriere, Fiat Grandi Motori, Aeritalia, Riv, Dubosch, Venchi Unica, Snia Viscosa, Capamianto, Tubi Metallici, Ambra, Fiat Accieierie, Cimat, Rasetti, Viberti, Lancia, Ceat, Nebiolo, Westinghouse. Dati reperibili in R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, Einaudi, Torino, 1958, p.254.
  6. A Torino a costituire i GAP fu Giovanni Pesce, detto “Ivaldi” nella clandestintà torinese, con la supervisione di Ilio Barontini, ambedue già miliziani antifascisti nella guerra di Spagna, 12ª Brigata Internazionale ‘Garibaldi’. I GAP effettuarono attentati e sabotaggi a linee ferroviarie e tranviarie, colpirono delatori, torturatori ed esponenti della RSI, di cui il più illustre fu Ather Capelli direttore della Gazzetta del Popolo, nonché militari tedeschi ed ufficiali nazisti. L’azione più importante fu la distruzione di una stazione radio che disturbava le trasmissioni di Radio Londra che trasmetteva messaggi alle forze partigiane. Ma l’operazione ebbe pesanti conseguente sul gruppo dei quattro gappisti, due feriti furono catturati, torturati ed impiccati. Dante Di Nanni[19], Medaglia d’Oro al V.M. della Resistenza, gravemente ferito, fu individuato dai nazifascisti e si difese fino all’ultima cartuccia, poi per non cadere vivo nelle mani del nemico si uccise gettandosi dal balcone di casa. Solo Giovanni Pesce, anche se ferito, riuscì a salvarsi. Il sacrificio di Di Nanni, la lunga battaglia che da solo e ferito ingaggiò contro i nazi-fascisti, ai quali inflisse gravi perdite, tra cui la distruzione di un blindato lanciando pacchi esplosivi dal suo rifugio, è una delle pagine più intense della Resistenza italiana. Altri importanti membri dei GAP di Torino furono Giuseppe Bravin, Francesco Valentino e Piero “Gagnu” Cordone, di zona San Donato. Nei primi mesi del 1944 le azioni gappiste furono talmente numerose ed efficaci che il federale fascista Solaro telegrafò allarmato a Mussolini affinché gli mandasse ingenti rinforzi dato che in città si trovavano concentrati almeno 5.000 gappisti. In realtà in città vi erano poche decine di gappisti, tra i quali i sopra citati, ma le azioni furono organizzate in modo tale da far credere al nemico di essere costantemente sotto attacco di diversi gruppi partigiani.
  7. Centro di documentazione di storia contemporanea e della Resistenza – Luserna San Giovanni
    Polliotti Carlo
    Documenti originali
    Documenti originali
    “1ª / Divisione / Lanfranco”
    “1ª / Divisione / Lanfranco”
    “Comunisti torinesi” Codice documento:C09/00001/01/00/00004/000/0001
    Titolo:”COMUNISTI TORINESI.”
    Descrizione:Il volantino, verosimilmente di poco successivo alla liberazione di Torino, reca il saluto dei militanti del Pci attivi nella 1ª divisione Garibaldi ai compagni dei Gap e delle Sap che hanno operato in città durante la Resistenza e si conclude con l’impegno – giurato ai caduti garibaldini evocati nel testo – a difendere per sempre la libertà riconquistata.

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