Amore e ami: un sogno riformista che non si avvera più.

Enzo Pellegrin

http://www.resistenze.org – osservatorio – italia – politica e società – 09-05-17 – n. 631

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Ora nel lago italiano si lancerà l’amo per la solita proposta di una sinistra post-ideologica, che nella penisola vuol dire tutta quella trafila di appelli degli intellettuali, dei professionisti gauchistes, delle migliaia di associazioni, quella “cosa” che gli elettori han già bocciato tre o quattro volte, tenuto conto che tale spazio è stato politicamente occupato dall’offerta più ampia dei cinquestelle.

Tutte opzioni molto comode, perchè la post-ideologia, sedicente “antisistema”, è la garanzia principale per mantenere in piedi quelli che oggi sono i pilastri fondanti del sistema stesso: permanenza del diritto borghese e proprietario, ideologia di mercato, concorrenza, sostituzione dell’eguaglianza reale con le pari opportunità, meritocrazia, permanenza nell’UE e nella Nato, opportuna distanza dai concorrenti interimperialisti, i quali vengono attaccati da sinistra sul piano di quei “diritti civili” di cui si fa aulica menzione , ma che nei nostri paesi occidentali rimangono patrimonio, pur nuovo, dei ricchi. Per non parlare dell’adesione sentita alla necessità dell’interconnessione globale (che allo stato dell’arte vuol dire dipendenza dai monopoli globali).

Sono tutte cose che non possono diventare “umane” o “nell’interesse comune”. Non c’è pari opportunità che non costruisca sbarramenti in base al potere economico. Non c’è meritocrazia che non sia classista, perchè la scala delle ricompense è decisa da chi ha i capitali. Non c’è diritto civile che sia patrimonio universale, se prima non viene assicurata l’eguaglianza economica sostanziale mediante la produzione collettiva. Non c’è capitalismo che non possa essere profondamente liberista, nè diritto che possa essere equo, dal momento che è strumento dei dominanti economici. Non c’è organizzazione interstatale che sia rappresentanza dei popoli, dal momento che è strumento degli interessi economici dominanti e dell’imperialismo.

La storia degli ultimi anni ha parlato chiaro, ma pochi sono stati disposti ad ascoltare. Di fatto, questi movimenti contengono spesso un moto ribellistico di retroguardia delle classi medie, colpite in maniera devastante dalla crisi economica e dall’insicurezza sociale, nonché dall’eliminazione del ruolo del lavoro quale ascensore sociale, oppure quale fattore di costruzione o mantenimento di posizioni personali e sociali.

Non hanno accettato quello che nel capitalismo è mera legge di sviluppo economico per queste classi. Nel contempo sognano ed amano una via riformista che da tempo è questione cancellata dall’agenda degli interessi globali, anche come sviluppo di un contropotere, volto ad ottenere semplici concessioni o passi indietro. Il percorso della Loi Travail in Francia è abbastanza significativo.

Nei rapporti di forza del mondo di oggi, i dominanti non hanno bisogno di fare più di tante concessioni, mentre hanno estrema necessità di seppellire le ideologie, in modo da metter mano più agevolmente al progetto altrettanto necessario di distruggere il valore del capitale esistente (impianti, macchinari ed occupazione) al fine di tagliare i costi, ripristinare la profittabilità, “far ripartire di nuovo il capitalismo (per un po’ di tempo), ma a spese di tutti noi”.(1) I mezzi sono quelli tradizionali: i licenziamenti, la decostruzione produttiva, la predazione delle ricchezze pubbliche mediante il ricatto del debito e le spinte alla privatizzazione, ma soprattutto le guerre.

La guerra è opzione di decostruzione necessarissima, nell’attuale configurazione storica dell’imperialismo, soprattutto quello degli USA, perchè è l’unico strumento attraverso il quale smarcarsi dai suoi diretti concorrenti imperialisti: da una parte la Cina dell’egemonia economica attraverso il progetto della Via della Seta, dall’altra la Russia.

Il giardino di casa dell’America Latina può essere invece spazzato all’antica maniera, per ripristinare il solito alleato nella borghesia proprietaria corrotta e predatoria dei Paesi a sud di Laredo.

Del resto, anche il bolivarianissimo Melenchon parlava di uscita dall’Euro (nemmeno dalla UE o dalla Nato) come “piano B” e non come opzione principale.

Ci sarebbe poi da riflettere sul fatto che il “Socialismo del XXI secolo” è stato purtroppo agevolmente sconfitto mediante gli strumenti di quel sistema che si prefiggeva di contrastare, ma che ha mantenuto in piedi: diritto borghese, proprietà privata dei mezzi di produzione, conservazione dell’agibilità politica dei concorrenti diretti del sistema.

Questi ultimi si sono permessi una comoda azione golpista, all’interno degli spazi che sono stati lasciati loro proprio da tale esperienza politica.

Resta da riflettere se dobbiamo ancora una volta esser presi all’amo.

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Note:

(1) Michael Roberts, Sovrapproduzione e crisi capitalistica, permanentred.blogspot.it, traduzione in italiano a cura di Resistenze.org n. 630, http://www.resistenze.org/sito/os/ec/osechd30-019152.htm.

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