Enzo Pellegrin
www.resistenze.org – osservatorio – italia – politica e società – 29-05-16 – n. 591
Più che il debutto mediatico del fronte del SI, poté madama Boschi.
Pur supportato e coperto dall’unanimità dei media di regime, la combriccola di carenadi e carrieristi del diritto costituzionale reclutati dal governo Renzi per dare supporto alla riforma non è e non sarà mai in grado di eguagliare le performances di gaffeur del ministro di Casa Boschi.
E’ grazie a queste ultime che è potuto affiorare efficacemente qualche scampolo di discussione.
Ignorate con dolo dalla stampa, si susseguono invece le iniziative sul territorio per spiegare le ragioni del NO, molte organizzate dall’ANPI e dai Comitati per il NO con l’intervento di costituzionalisti ed altre realtà sociali e politiche.
Non c’è dubbio che intorno al fronte del NO si sia agglomerato – politicamente parlando – di tutto.
Tuttavia, a meno di non voler seguire il ragionamento da stadio del Ministro delle riforme (chi vota no vota con casapound), per chi affronta da una prospettiva di classe ogni questione che riguardi il rapporto con le istituzioni della democrazia borghese, ciò che viene in conto è l’incidenza sui rapporti di forza e sui rapporti di produzione tra le classi.
A questa formula, che può apparire ostica o complicata, si accompagna una riflessione abbastanza semplice.
Attraverso i meccanismi istituzionali (prima di tutto quelli costituzionali) i poteri dominanti imprimono il carattere e la forma della società, dell’economia, dei diritti e dei doveri di ogni individuo nei suoi rapporti con lo stato, la burocrazia, la giustizia, l’azienda, gli attori economici dai quali si comprano servizi e sostentamento.
La controriforma del mercato del lavoro, l’incidenza della speculazione dei poteri finanziari sul debito sovrano, la direzione imposta dal FMI, dall’UE e dalla BCE alle economie degli stati europei, la politica estera e della guerra imposta dal blocco occidentale raccolto intorno agli USA ed alla NATO non sono condizionamenti che operano indipendentemente dallo Stato, ma agiscono attraverso le istituzioni dello Stato. Sono queste ultime che realizzano le modificazioni dei rapporti giuridici che consentono di imporre lo statuto delle classi dominanti.
Perché il padrone possa ricattare collo spettro della disoccupazione, si ha bisogno di una legge come il jobs act che lo renda libero di licenziare senza problemi, sono sempre le leggi a consentire alle municipalizzate di continuare la gestione privata speculativa dell’acqua con i risultati visibili sui lungarni fiorentini.
La formazione delle leggi è uno di quei meccanismi toccati dalla riforma costituzionale e dalla riforma elettorale, la quale – potremmo dire semplificando – ha lo scopo ultimo di rendere sommamente sovrana una maggioranza politica modestamente prevalente nel suo peso elettorale proporzionale.
L’italicum conferisce lo strapotere alla maggioranza della Camera. L’eliminazione della possibilità sostanziale di eleggere direttamente il Senato toglie di mezzo una camera elettiva in cui la maggioranza è sempre storicamente rimasta appesa a pochi voti di prevalenza per sostituirla con una camera di eletti in secondo grado dalle maggioranze dei singoli consigli regionali e dai sindaci.
Tale meccanismo consente alla maggioranza di padroneggiare ulteriormente la seconda camera, per le funzioni residue che le vengono lasciate dalla riforma.
Sono numerosi gli articoli che illustrano le ragioni del NO. Una summa di esse è possibile trovarla nell’utile e chiaro vademecum redatto dai Prof. Villone, Gallo e Grandi del coordinamento democrazia costituzionale per il Comitato per il No (https://comitatodemocraziacostituzionale.files.wordpress.com/2016/05/vademecum-villone.pdf). Questa nostra riflessione si limiterà invece ad affrontare una delle tante ragioni per cui pare accettabile, da una prospettiva di classe, sostenere le ragioni del NO alla riforma costituzionale.
Da tale prospettiva, occorre effettuare una riflessione anche sulle parole d’ordine che spesso sottendono alla propaganda dei Comitati per il NO, quasi tutte declinate sulla necessità di conservare i giusti equilibri all’interno della democrazia rappresentativa liberal-borghese, così come anche sullo slogan “salviamo la Costituzione”.
E’ doverosa la premessa che la Costituzione italiana, pur nata dalla lotta resistenziale, non è l’edificazione del socialismo, né contiene principi di superamento dei rapporti di produzione capitalistici, pur nelle sue parti più avanzate. Si tratta sicuramente di una Carta fondamentale contenente forti innesti di diritti sociali, come per esempio l’art. 41 Cost. il quale, nella sua formulazione, pur ammettendo la proprietà privata dei mezzi di produzione (“l’iniziativa economica privata è libera”), sancisce che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Purtuttavia, tale innesto progressista è rimasto e rimane in gran parte inattuato.
Come già ebbi modo di scrivere in passato (http://www.ful-lav.it/?p=424), sorreggono all’analisi due concetti che possono dire molto sul reale vigente valore della legge fondamentale. Si suole indicare come Costituzione formale quella astrattamente delineata nel novero delle norme scritte nella Carta. Con Costituzione materiale si indica invece la misura reale della vigenza di quelle norme scritte. Per un marxista la Costituzione materiale non è nient’altro che l’impronta dei rapporti di forza reali della società. La maggiore o minore misura in cui le norme sociali della nostra Costituzione trovano attuazione rivelano chi dirige ed in quale direzione procede il sistema giuridico e la macchina statale.
La Carta Costituzionale italiana è in vigore dal 1948. I valori ed i principi contenuti nella forma costituzionale non sono mai stati minimamente tradotti in effettivi ed irreversibili diritti. Gli attuali rapporti di produzione capitalistica non vengono minimamente messi in discussione.
L’impianto dei rapporti economici globali che molti erroneamente definiscono “neoliberista” (ma che in realtà è più corretto definire come fase suprema del capitalismo) ha poi direttamente mosso un attacco al cuore della Costituzione, imponendo – in un doloso silenzio – l’approvazione del novello articolo 81 Cost. In tale norma il valore del pareggio di bilancio condiziona l’applicabilità di ogni diritto costituzionale: nella Carta Costituzionale ha fatto prepotentemente ingresso il capitale.
Sul gradino più alto del podio.
Si comprende allora come lo slogan “Salviamo la Costituzione” desti più di un’alzata di sopracciglio in chi non abbandona la prospettiva di classe. Quantomeno viene il pensiero che l’operazione di salvataggio parte con un ritardo preoccupante.
Purtuttavia, non c’è dubbio che le Costituzioni conservino in se’ un nucleo di contropotere che mai nessun saggio butterebbe via.
Anche le forze politiche che si propongono il superamento e la sostituzione dei rapporti economici e politici esistenti non possono permettersi di gettare nel cestino o regalare al nemico una casamatta che ha più di un valore strategico.
Basti pensare che l’offensiva “neoliberista” mossa dopo la caduta dell’Unione Sovietica ha avuto nel mirino in ogni parte del globo le Costituzioni come le nostre. Il capitale non spreca cartucce verso obiettivi inutili.
Facciamo degli esempi di cui non si parla mai. In Colombia, dove il governo oligarchico opprime ed attacca con pochi scrupoli la resistenza dei ceti popolari sin dal 1964, gli interessi economici hanno ritenuto necessario imporre ad un paese – già comunque sotto un regime relativamente amico – una costituzione con impianto “neoliberista”.
Oggi, il governo oligarchico colombiano si vede costretto a partecipare ad accordi di pace all’Avana con le FARC, il movimento insurrezionale che ha garantito (insieme con altri gruppi) la resistenza popolare contro gli abusi dell’oligarchia. Nell’ambito del dialogo bilaterale, le stesse FARC intravedono, come possibile garanzia per la sospensione dell’uso delle armi in politica, l’elezione di un’assemblea costituente per consentire alle classi popolari di raggiungere una casamatta, da dove esercitare le opportune azioni di contropotere dai quali muovere le politiche necessarie all’obiettivo strategico, il quale rimane la trasformazione socialista della società colombiana.
Nello scenario europeo, nel 2013, un rapporto della banca JP Morgan (, una delle maggiori responsabili della crisi dei mutui subprime, consigliava ai governi europei di sbarazzarsi delle “costituzioni sinistroide e anti fasciste” Secondo Wall Street Italia, (http://www.wallstreetitalia.com/jp-morgan-all-eurozona-sbarazzatevi-delle-costituzioni-antifasciste/) “Le riforme strutturali piu’ urgenti, oltre a quelle politiche, sono secondo la banca quelle in termini di riduzione dei costi del lavoro, di aumento della flessibilita’ e della liberta’ di licenziare, di privatizzazione, di deregolamentazione, di liberalizzazione dei settori industriali “protetti” dallo stato. Gli autori della ricerca osservano che nel cammino che porta al completamento degli accorgimenti da apportare alla propria struttura politico economica, l’area euro si trova a meta’ strada.”
Come è andata lo sappiamo. Lo stato di povertà, i tassi di disoccupazione, la deindustrializzazione dell’economia europea, l’usura sul debito sovrano ed il sacco delle ricchezze pubbliche stanno lì a testimoniarlo.
Le Costituzioni sono quindi una fastidiosa casamatta per le oligarchie globali, un luogo dove può – indipendentemente dal loro valore borghese – praticarsi resistenza.
Se è vero che la modificazione dell’art. 81 Cost. è avvenuta prima della riforma renziana, è altrettanto assodato che avvenne in sordina, con la complicità dolosa del maggiore partito di centrosinistra nato sulle ceneri del PCI, il quale, fin dalla sua nascita, ha palesato e poi incarnato l’aspirazione ad essere il veicolo di potere delle oligotecnocrazie europee. Sono proprio i sodali di questa aggregazione elettorale ad averlo involontariamente ricordato in questi giorni, non senza risvolti comici. Il neonato “fronte per il SI” ha diffuso una nota in cui si riproduceva una pagina del “Programma di Governo del PDS” del 1994, con prefazione del suo segretario di allora, Achille Occhetto, al fine di ricordare che uno dei punti riguardava “il superamento del bicameralismo paritario attribuendo ad una Camera le funzioni proprie di un’Assemblea nazionale e all’altra quella di una Camera delle Regioni”. Peccato che nella medesima pagina un’altro punto riguardava “la riforma dell’art. 81 della Costituzione, in modo da limitare nei soli programmi di investimento il finanziamento del disavanzo”. Non era l’attuale art. 81 Cost., conservava agli investimenti un briciolo di politica della domanda, ma nel 1994 ciò segnava un punto a favore di interessi già distanti da quelli del popolo italiano, figuriamoci da quelli delle classi popolari.
Tuttavia, al tempo euroscettico di oggi, quando la gran parte dei commentatori politici ha riconosciuto l’art. 81 come un corpus extraneus e si è mobilitata contro di esso, sarebbe molto più difficile portare a termine una dolosa ulteriore trasformazione che necessiti del concorso di una forte maggioranza parlamentare ancora eterogenea senza incorrere in una dura punizione elettorale.
Il combinato disposto della legge elettorale truffa e della riforma costituzionale serve allora proprio a questo scopo: costruire una maggioranza parlamentare più omogenea in caso di attacchi al cuore della carta fondamentale, magari quando si vorrà modificare l’art. 40 Cost sul diritto di sciopero oppure i parametri costituzionali in materia di retribuzione o di riposo del lavoratore.
Il peggio non è mai assoluto ed ha una fantasia sfrenata.
Infatti, la potestà legislativa della nuova camera senatoria, composta da nominati di fatto della politica, non è del tutto esautorata, anzi viene conservata (ma con una rappresentatività molto minore) proprio quando si approvano le leggi di modificazione della Carta Fondamentale.
Il “nuovo” art. 70 della Costituzione recita infatti così: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali… le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione ed all’attuazione della normativa e delle Politiche dell’Unione Europea.”.
Quindi, il senatino manovrabile e non eletto dal popolo entrerà in gioco quando ci sarà da attaccare la Costituzione e quando ci sarà da decidere sui diktat tecnocratici delle oligarchie finanziarie veicolate dall’ UE.
Un ulteriore spazio di resistenza verrebbe quindi eliminato, con la possibilità che vengano più facilmente eliminati altri spazi di resistenza.
Non si tratta allora di esprimere un NO in nome della santificazione dei meccanismi della democrazia rappresentativa, contrapponendovi la possibile dittatura di un uomo solo. Quando le oligarchie finanziarie desiderano la dittatura, la attuano indipendentemente dalle modifiche costituzionali, diversamente continuano ad agire nella democrazia rappresentativa borghese, quella che continua a rimanere il più adeguato involucro per la gestione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in assenza dell’eliminazione dei rapporti economici che tale sfruttamento producono. Nella democrazia ateniese lodata da molti think thank vicini al renzismo spadroneggiava un’oligarchia ed esisteva la schiavitù.
Il NO che caratterizza la visione di classe non può che essere fondato sull’intelligente volontà di conservare una casamatta dalla quale muovere più facilmente la lotta di sostituzione dell’attuale sistema economico con un socialismo capace di rimuovere l’asservimento una volta per tutte.
Il NO più forte che le classi popolari possono esprimere in questa consultazione referendaria non prevede né matrimoni, né convivenza, né rapporti occasionali con i valori di chi si agglomera al NO per i più diversi motivi.
Il NO delle classi popolari è quello che coniuga questa piccola battaglia intermedia con il NO all’UE ed al capitalismo.
Un fronte del NO che continua il giorno dopo la chiusura delle urne. Qualunque risultato ne venga fuori.
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