Il difensore è la prima trincea contro gli abusi del potere: la sua libertà è quella di tutti.
Enzo Pellegrin
In uno degli ultimi suoi “buongiorno”, Massimo Gramellini ha preso di mira con le usuali parole da circolo dello sport il difensore di Gabriele Defilippi, reo confesso sui generis dell’omicidio Rosboch: “L’avvocato difensore dei colpevoli è mestiere infame che costringe a qualsiasi genere di arrampicata sui muri ospitali della legislazione italiana, ma stavolta l’impresa risulta particolarmente improba. Un ingannatore seriale tutto può essere tranne che matto. Un manipolatore inesausto di uomini e donne tutto può essere tranne che matto.”
Al collega torinese che ha subito, per conto di noi tutti, l’usuale denigrazione mediatica della propria professione, va la piena solidarietà ed il sincero affetto di chi scrive.
A Gramellini potrebbe essere semplicemente replicato: “La sentenza non viene scritta colle invettive della sua rubrica, ma nell’equo processo penale che la nostra Costituzione garantisce anche al peggiore dei peggiori”.
Temo che nessuno capirebbe.
Non facciamo quindi nostra questa replica “istituzionale”, né ci stracciamo le vesti di fronte a Gramellini: la situazione è grave ma non seria. Flaiano insuperabile quanto sempre utile.
Proveremo – con aforisma meno felice – a spiegare anche ciò che è evidente.
Il diritto di difesa è una fondamentale garanzia della persona umana.
Deve esistere in ogni sistema sociale.
Se viene limitato, annullato o reso una vuota e finta crisalide, qualsiasi sistema sociale, anche il più equo, parla con l’inaccettabile lingua dell’abuso e della repressione.
Nella sua essenza, il diritto di difesa sicuramente travalica la professione d’avvocato, ma al contempo la pone al centro e non può realizzarsi senza quest’ultima.
La difesa e la professione d’avvocato, non vanno solamente tutelate quando una penna giornalistica le sbeffeggia per profittar lettori in un pubblico conformista e pagnottone. Ci offende sì: ma noi sappiamo che la totalità di quel conformismo becero che prova piacere nel maledirci, quando entra nelle porte del nostro studio – perché ha bisogno, una volta nella vita di difendersi – si straccerà le vesti per pretenderlo, quel diritto di difesa, anche oltre la correttezza e le regole.
Dice bene l’avv. Mauro Anetrini di Torino: nella concreta ed odierna fenomenologia sociale, il diritto di difesa interessa solo chi lo deve esercitare. Il collega penalista torinese, dal quale mi separa più di una concezione ideologica della società, ha redatto la più squisita replica all’elzeviro di Gramellini che vale la pena di riportare interamente in nota (1)
Ciò è certamente frutto di comportamenti egotistici che una squallida egemonia culturale di cattivi mercanti ha inoculato nel deserto mentale di molti indifferenti.
Ma non si tratta solo di questo.
Come sempre è stato nei secoli, il diritto di difesa ha un nemico peggiore e più pericoloso: l’abuso del potere.
E’ nelle azioni illegittime di chi può concretamente limitarlo o svuotarlo che si annida il vero pericolo e la massima lesione dei diritti fondamentali della persona umana.
Sciascia scriveva della legge che passa dalla barba che un maresciallo si è fatto male. Aggiungo io: passa dal calcolo corporativo e burocratico che un giudice ha instillato nel negare una prova, nello zittire un difensore od un imputato. Passa dalla concezione della democrazia che un pubblico ministero prova a veicolare nel processo: la cieca adesione al comando del potere, senza ammettere nessun margine di conflitto sociale.
Il conflitto sociale è la forma primigenia di esercizio della democrazia, la quale non si esercita solamente nei parlamenti (sempre più camere chiuse ed inaccessibili persino al voto…) o procedendo all’autocombustione di Jan Palach.
Nella costituzione esistono il diritto di sciopero come la disobbedienza civile e la legittima difesa contro gli abusi e gli arbitri dell’autorità.
E’ contro questi abusi che la professione di avvocato resta veramente il primo – ed a volte l’unico – baluardo contro l’arroganza e la brutalità del potere: il primo cavallo di frisia dove la democrazia si difende.
Indignamoci pure contro le chiacchere da bar, ma non dimentichiamo che la coltellata più grande arriva sempre da quel potere che non sopporta limiti: dalle parole del signor Gratteri che lancia invettive sulla funzione della difesa invece di perseguire quelli che la esercitano scorrettamente, da quei rinomati magistrati che vedono la difesa come ostacolo ad un iter giudiziario, come se quest’ultimo fosse una semplice pratica da evadere.
In democrazia, nulla è mai una pratica da evadere.
Da ultimo, il diritto di difesa subisce colpi dagli stessi avvocati: quegli avvocati che – esercitando il potere all’interno degli ordini professionali e nei parlamenti istituzionali – costruiscono ostacoli economici e di censo al libero esercizio della professione, finendo col minare la vera effettività della difesa, soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli che non possono sopportare un sistema così mercantilistico per l’esercizio del loro diritto.
Come nella sanità, così nella difesa, nessuno può fornire un servizio essenziale in posizione privata dominante.
Il fine di questi non è difforme da quell’abuso che il potere esercita colle leggi: eliminare gli ostacoli scomodi al raggiungimento di più elevati profitti e posizioni monopolistiche.
In democrazia, i diritti non solo non sono una pratica da evadere: non sono nemmeno una merce di scambio.
Amo citare una famosa intervista del collega avvocato Sandro Pertini: “… libertà e giustizia sociale… costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. Perché non si può barattare la libertà. Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io” (2)
Nè il potere, nè i soldi, né i luoghi comuni possono prendere il posto dei codici, della Costituzione, dei diritti dell’uomo.
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Note:
(1) “Molti amici mi scrivono in privato sollecitando un intervento di replica al Buongiorno di Massimo Gramellini nel quale, si dice, è contenuto un inaccettabile attacco al diritto di difesa.
D’istinto, mi verrebbe da dire che non c’è nulla di cui sorprendersi: conosciamo il giornalista, la dolcezza insidiosa della sua penna e, naturalmente, la sua incompetenza giuridica.
Se Massimo Gramellini si avventura su un terreno che non è il suo e utilizza lo strumento dell’iperbole per catturare – cosa che gli riesce benissimo – l’attenzione dei suoi indomiti lettori, è libero di farlo.
Noi riconosciamo a Massimo Gramellini il diritto di esprimere le sue opinioni, anche quando – come in questo caso – sono sciocchezze da bar, che mutuano la loro essenza da quello stesso convenzionalismo becero che egli assume di volere fustigare e del quale, invece, è uno dei più autorevoli esponenti.
A Gramellini non interessa il diritto di difesa, perché il diritto di difesa – in questo paese – interessa soltanto a chi deve difendersi. Gli altri – quelli che, lasciatemi dire, non ne hanno necessità – vorrebbero fosse cancellato come vorrebbero annichilire tutti gli intralci ad un giustizia rapida, intransigente ed esemplare.
Massimo Gramellini, quindi, non dice nulla che possa suscitare il mio scandalo o la mia irritazione.
E’ sufficiente, però, che due cose siano chiare a tutti: che il Buongiorno non è un trattato sulla democrazia in Italia, ma la fotografia dell’infimo livello di coscienza civile che ci contraddistingue; che il diritto di difesa non ha bisogno del mio sostegno, o di quello di altri, e non ripete la sua nobiltà ontologica dalle opinioni di un simpatico censore dei nostri costumi.
Non è un mio problema. E’ un problema vostro.” avv. Mauro Anetrini, dalla Pagina Facebook, https://www.facebook.com/mauro.anetrini/posts/1229276380416199?fref=nf&pnref=story.unseen-section
(2) Da un’intervista reperibile al CESP Centro espositivo Sandro Pertini.