redazione boraest
Sovente, quando si ripropongono questioni giuridiche concernenti l’applicazione di un diritto di difesa, pur in presenza di un ultimo, magari isolato, orientamento restrittivo di una sezione della Cassazione, i difensori vengono spesso apostrofati : “Avanti avvocato! Che questione è? C’è Cassazione contraria!”. All’obiezione che a quella singola pronuncia se ne oppongono altre contrarie, che non è comunque una pronuncia delle Sezioni Unite (che giudica in caso di contrasto di orientamento delle sezioni), l’atteggiamento di molti operatori del diritto rimane di sufficienza, senza aver riguardo al contenuto ed al merito della questione, non pensando che tale riproposizione vuole lottare contro un orientamento liberticida. Curioso sapere che a parti invertite non è così: in presenza di due pronunce di Cassazione che hanno dichiarato insussistente l’aggravante della finalità di terrorismo (tra l’altro decidendo sul caso specifico, non su un altro caso similare, pronunciandosi cioè sulla vicenda cautelare delle persone tratte a processo e su altre persone coimputate dello stesso fatto), c’è chi pensa che comunque sia doveroso presentare e sostenere strenuamente un appello contro una sentenza che correttamente aveva fatto applicazione di questi principi della Suprema Corte, chiedendo anche una pena detentiva di nove anni e mezzo. Il problema sta nel fatto che tale percorso di resistenza giuridica non è a favore di una libertà, ma piuttosto la comprime enormemente ed indebitamente, cercando in realtà uno strumento di “paura”, un deterrente che proporzionalmente finisce per ingessare ogni tipo di resistenza. Se in una manifestazione antagonista in cui è finito bruciato un compressore ti processano e ti condannano per terrorismo, ciò vuol dire che persino le opposizioni astrattamente legittimate dal diritto di difesa saranno giudicate altrettanto severamente ed incriminate. La sproporzione tra pena e fatto ha sempre una funzione ultrarepressiva (o finisce per averla). Tale condotta era stata anche accompagnata da dichiarazioni tutt’altro che tenere nei confronti della sentenza appellata come ad esempio: “ribadisco tutte le mie perplessità per decisioni in cui, ad esempio, in relazione a un articolo di legge si impiegano quasi trenta pagine per spiegare che dove nello stesso si trova la congiunzione ‘o’ si deve leggere la congiunzione ‘e’, e questo per aumentare le condizioni necessarie per riconoscere la sussistenza della finalità di terrorismo”. Parole pronunciate in occasioni ufficiali in cui veniva riconosciuto il ruolo direttivo del loro autore.
Si spera dunque che la Corte non si lasci fuorviare da tali suggestioni, perché realizzerebbe, come purtroppo spesso succede, quell’ingiustizia che Sciascia apostrofava dicendo “abolita l’immagine dell’uomo, la legge nella legge si specchia”. Spero che ciò non avvenga e che si accolga l’invito al “restare umani” tramandatoci da Arrigoni, dal momento che tale proporzionalità ed umanità è già stata attuata due volte da un supremo consesso del diritto. Spero, perché non ho sentito nessuno dire “Avanti!…”.